lunedì 14 febbraio 2022

Quando la giornata promette bene. Di Vincenzo Maria D'Ascanio.


 

Stamattina, come accade ogni domenica mattina in cui mi trovo a Cagliari, sono andato alla stazione per la colazione. È una mia vecchia abitudine, legata anche alla presenza di un’autorevole tabaccheria, che mi consente di trovare tutti gli elementi per la mia autosopressione, lenta, inconscia ma legale.

 

Dopo aver brutalizzato la commessa con pretese da incubo, ecco dunque “la colazione”. Il barista è un marcantonio alto quasi due metri, sembra più un personaggio da Mortal Kombat piuttosto che un barman. Per quanto riguarda il viso, ha i lineamenti di un orso polare. Oggi parlava in inglese, e sulle prime ho pensato che stesse dando di matto, come ogni tanto gli accade. Invece no, in sostanza stava raccontando ad un tale che tra poco sarebbe partito per l’Inghilterra, per cominciare un nuovo lavoro legato a qualche progetto di vita, che, considerato il soggetto, doveva essere senz’altro assurdo.

 

Il cameriere si muoveva a passo di danza, era evidentemente compiaciuto della sua scelta, ma con gli occhi cercava la nostra approvazione. Io avrei voluto dirgli "Senti bello, qui hai un lavoro, una donna e una famiglia che ti vuole bene, quest'anno l'economia inglese crollerà e non hanno un minimo di stato sociale, lo stato sociale è peggio del nostro e gli inglesi sono ancora in fissa per gli europei." Tuttavia, mi son detto, al diavolo il mio pessimismo e i miei dati, magari gli va tutto bene e riesce a cavarsela alla grande, così gli ho dato stretto la mano, scordando il tipico pugno alla Covid: "In bocca al lupo, ci mancherai..." Ho anche la sua amicizia su Face Book, se non altro non lo perderlo di vista. Provo sempre una certa invidia per chi comincia un nuovo cammino, hanno quella brillantezza negli occhi e sono molto effervescenti.

 

La commessa, intanto, mi ha fatto sapere i vincitori di S. Remo. Nessuno glielo aveva domandato, ad ogni modo ci ha tenuto a precisarlo, stava parlando con un'amica e mi ha coinvolto in questa discussione tutta italiana degli stranieri che vincono Sanremo. Ho abbandonato la signora anche perché mi stava prendendo male, e sono andato nel cuore della stazione ferroviaria, per vedere che aria tirava. Nessuna, la stazione era vuota, c'era solo una ragazzina con le cuffie, che cinguettava una canzone fantasticando chissà quali amori.

 

Una regione è ben rappresentata dalle sue stazioni, per carità, quella di Cagliari ha anche un suo arredamento, ma manca l'elemento essenziale, ovvero i passeggeri. Come domandare un cappuccino, e vedersi restituire una tazza con due cucchiaini di zucchero. Mi è anche venuta voglia di comprare un libro, ma la libreria è sparita chissà dove... Alla libraria della Stazione ero particolarmente affezionato, erano esposti i miei primi due libri tra cui uno di poesie. Per carità, vaneggi di uno studente universitario, ma non siamo forse più affezionati ai nostri fallimenti che ai nostri piccoli successi? Tra l’altro “Vaneggi di uno studente Universitario” è un buon titolo sia per un romanzo che per una raccolta di racconti o poesie, se volete potete utilizzarlo per la vostra prossima opera.

 

Infine, sono andato dinanzi alla vecchia locomotiva degli anni 20', piazzata nel cuore della stazione. Tutto il prestigio del mezzo era espresso nella potenza del suo acciaio. Ho guardato all'interno, rimuginando la "Locomotiva" di Francesco Guccini, e domandandomi se mio nonno avesse mai usato questa devastante poesia blindata. Mi sono anche arrampicato al suo interno, giusto per sentire l'effetto che fa. In effetti, dava un senso di potere, essere su quel mezzo, in alto, dominante: prima i macchinisti dovevano essere una razza padrona, per padroneggiare simili satanassi.

 

Mentre andavo via, una ragazzina con le guancie straordinariamente rosse trascinava un enorme borsone. L'ho aiutata senza nemmeno domandarglielo, le ho sollevato la borsa e l'ho accompagnata in sala d'aspetto. "Sto andando ad Oristano, forse ho trovato un lavoro come commessa..." Mi disse. Tra me ho pensato, senza dire nulla: "Per molti oggi è giorno di cambiamenti, la giornata sembra iniziata bene.”

 

Pensato questo me ne andai. Non ricordo altro di quella giornata, chissà dov’è finita... mah.

 

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venerdì 11 febbraio 2022

Curiosità e intelligenza. Di Vincenzo Maria D'Ascanio


 

La scorsa mattina mi è accaduto un fatto singolare. Non stavo benissimo, avete presente quando vi alzate con un mal di testa non eccezionale, ma sopportabile? Comunque, faccio colazione, guardo il balcone, e vedo buste della spazzatura, troppe. Decido di farle sparire, e mi dico: "Adesso svuoto i cestini della camera (due), quello della cucina e quello del bagno." Sistemata la spazzatura nelle solite buste della spesa, mi accorgo di aver terminato i sacchi neri, quelli grandi, in cui contavo di mettere i piccoli. Non desisto, in qualche modo sistemo le buste sulla braccia, ne tengo qualcuna con le dita. Panico: erano pesanti e maleodoranti, la ragazza che lava le scale mi guarda ridendo (forse ride anche perché mi ha fottuto la scopa che sta usando: "prestamela, te la porto subito", mi disse...)



Va bene, arrivo dinanzi ai cassonetti ed una busta, quella dell'umido, si apre, io urlo "cazzo", e proprio in quel momento si apre un'altra busta. A questo punto, tra mal di testa e confusione, do un calcio al cassonetto, lo apro, lancio i sacchi rimasti dentro, poi, per qualche secondo, col fiatone, resto a guardare la spazzatura caduta sulla strada. A quel punto sento una risata, era il signore del primo piano, un barbaricino da anni a Cagliari, ma rimasto barbaricino dentro. Ride per un po', poi la smette, fa un tiro di sigaretta, mi guarda: "Ses tontu commenti unu piccu." Un attimo di silenzio, dunque aggiunge: "Burriccu!" E ricomincia a ridere.



Tempi or sono, gli avrei lanciato una bottiglia sulla finestra. Oggi no, alla fine, mi metto a ridere anch'io (del resto, alle riunioni di condominio ha sostenuto le mie tesi più assurde, e da anni mi ha in simpatia, non so perché.) Comunque sistemo tutto, lo saluto, ascolto le sue lamentele sulle piste ciclabili, gli do ampiamente ragione (quando un argomento non m'interessa, oppure non ho voglia di parlare, do ragione a tutti... tutti quanti, anche ai vaneggiamenti più sconcertanti). Tuttavia il signore mi ha messo la pulce nell'orecchio: "E se fossi scemo davvero? Un somaro, un idiota, ottuso, unu bestiolu fattu e lassau... Chi accidenti mi ha convinto della mia intelligenza? ("È intelligente ma non si applica, dicevano le maestre, forse tutto è cominciato così"). Il dubbio mi rode per tutta la giornata, rivedo il libro del momento e correggo solo punti e virgole, entro in uno stato di semi panico... poi mi tranquillizzo, insomma, è scontato che il 90, 95% delle persone si considerino dotate d'intelletto.

 

Le frasi di un anziano mi hanno catapultato nel 5%, a quel punto è arrivata la conferma: sono più intelligente della media o, per meglio dire, non appartengo a nessuna media, non sono posizionabile. Non chiedetemi il ragionamento che ho fatto, ma in sintesi è questo: quando metti in discussione, anche l'elemento in cui hai avuto più certezza in tutta la tua vita (tanto da sfiorare soglie di spudorata arroganza), sei libero da ogni punto fermo, e la tua mente spezza le catene mentali che la rinchiudono, distruggi le barriere dell'ottusità', e sei pronto ad arrivare "ove il cor per poco non si spaura". Insomma, per dirla con Leopardi, ho guardato oltre la siepe, e voglio continuare a guardare, pur correndo il rischio di restare invischiato nella totale incomunicabilità.

 

Oggi come oggi non so cosa sia l’intelligenza, non so se lo sono. Tuttavia sono molto curioso, voglio sapere anche le cose più strane. Mi perdo nel chiedermi come funziona la stufa, leggo libri sul medioevo più oscuro scritto da qualche pazzo, sto imparando a conoscere i nomi delle campagne intorno al mio paese attualmente sto imparando a usare la chitarra e quando qualcuno mi chiede perché voglio imparare a farlo, o qualche mio parente mi ricorderà che di certo abbandonerò a metà percorso (come spesso mi è capitato nella vita) farò finta di nulla.

 

Non conta essere intelligenti, credo sia più importante essere curiosi. Su questo punto credo di aver detto tutto, e non aggiungerò altro.

mercoledì 9 febbraio 2022

Spezzare le catene del sistema per correre, e non essere più imbrigliati! Di Vincenzo Maria D'Ascanio


 

Ho appena evitato un cane gigante in superstrada, non so come ho fatto, ora sono fermo in una piazzola di sosta. La situazione è questa. Noi ci troviamo su una spiaggia, siamo incatenati ai piedi, le catene arrivano dalla sabbia. Intorno, abbiamo delle mura, non è un cubo, non abbiamo tetto. Abbiamo quattro pareti in cemento armato, alte sette metri, sprofondate per otto metri. Le catene non ci permettono di arrivare alle pareti.



Le catene ai piedi sono i nostri ostacoli mentali. I muri sono i nostri ostacoli esistenziali.



Possiamo solo urlare, chiedere aiuto, individuare responsabili per giustificare la nostra condizione, niente, siamo soli e continuiamo a urlare, senza essere ascoltati. Dopo aver sbraitato per molto tempo, ci sediamo, e sulla sabbia vediamo un pezzettino di ferro. Era sempre stato là, ma concentrati a urlare non riuscivamo a vederlo. Allora lo prendiamo, e cominciano a lavorare sulle catene. Il lavoro è continuo e noioso, così cominciamo a pensare a tutte le catene mentali: il decoro, le credenze che ci hanno somministrato da quando eravamo bambini, le abitudini stolte che continuiamo a perpetrare per stare dentro un branco o sistema (avere una bella macchina, fare carriera etc...). Arriva la sera, niente, le catene non sono facili da togliere, però non stiamo più urlando perché siamo finalmente concentrati sul nostro problema.



La mattina riusciamo a spezzare le catene, però c'è il muro, siamo preoccupati, ma appena ci avviciniamo vediamo tanti piccoli buchi nel cemento armato. Prima avevamo le catene, non potevamo avvicinarci, ma ora, ora vediamo che salire non è così difficile, basta volerlo. Mentre saliamo, pensiamo ai nostri obblighi esistenziali: il lavoro, la famiglia, la casa: tutte le oasi create nel tempo per sentirci al sicuro. Arrivati in cima al muro urliamo, non sappiamo come scendere a ci buttiamo. La sabbia attutisce il colpo ma... ei, pensavate di liberarvi senza pagare pegno?



Vi alzate, attorno non c'è nulla. Provate smarrimento, avere lasciato il lavoro che odiavate, lasciato dentro quella tante piccole sicurezze che non vi facevano stare bene, ma che vi aiutavano a sopportare. Adesso siete soli, nella spiaggia, con tanti dolori dovuti alla caduta. Infine prima camminate, poi cominciare a correre, a correre, sempre più veloci. Non sapete dove state andando, ma vi piace correre, e quanto vi piace!

Per chi è sempre stato in catene, non c'è niente di più bello che correre... e non avere più paura. Perché se non hai nulla da perdere, la paura cessa di esistere.



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#lenostrepaure #ilsistemaillusorio

Uno strano Carnevale. Di Vincenzo Maria D'Ascanio


 

Ero al secondo anno di università, e stavo studiando perché il giorno successivo dovevo sostenere l'esame di sociologia. Inaspettatamente sento squillare il campanello: era il mio amico Beta. Entrato nella camera chiude il libro con fare aggressivo, dunque avvicina il suo viso al mio e mi guarda negli occhi.

"Oggi è martedì grasso, dobbiamo divertirci",

"Certo", gli rispondo, "raccontami il progetto."

"Adesso andiamo ad affittare due abiti per mascherarci, poi andiamo a ubriacarci dalla mia ragazza. Per te ci sono due coinquiline niente male."

Il progetto aveva una sua logica, e accettai senza commentare.


Era tardi, e nel negozio erano rimasti solo due abiti da suora.

"Ok, li prendiamo", così ci allontanammo dopo aver assorbito le 4000 raccomandazioni della proprietaria. Se solo avesse saputo... La ragazza di Beta ci trucca, rossetto, fard, parrucca e croci spropositate, che il mio amico avrebbe poi usato come mazza. La storia delle coinquiline era una balla per attirarmi, comunque dal nostro arrivo impiegai poco ad ubriacarmi e dimenticare qualsiasi cosa.


La festa si teneva nella mensa di via Premuda. Un sacco di maschere e mascherine, io comincio ad importunare tutte le ragazze che mi sembravano tali. Poi importuno la ragazza sbagliata, e tre tizi barba ricini (almeno dall’accento) se la prendono. Cerco il mio amico che intanto, in parte trattenuto dalla ragazza, stava sputando su una folla incredula. In breve mi trovo immobilizzato a terra, per fortuna due amici di Jerzu mi liberano e io scappai. La mia ex moglie aveva assistito alla scena, senza nemmeno conoscermi. Probabilmente mi considerò pazzo, in seguito ebbe la conferma definitiva.



Comunque io me la batto e finisco nel giardino dell'ospedale d'Is Mirrionis, dove stavano preparando dei lavori. Comincio una mia sfida tutta privata con la morte, salto le buche coi ferri piazzati nel fondo, un errore sarebbe stato fatale. Poi mi arrampico sulla recinzione dell'ospedale, arrivano due guardie, mi strattonano, io scappo in strada e chiedo un passaggio. Mi fa salire un tizio più ubriaco di me che, calcando l'acceleratore neanche fosse Niki Lauda, mi dice che delle donne non bisogna mai fidarsi, e che il mio abito da suora mi stava da dio. Il folle mi lascia in Via Roma, io vado verso Via dei Mille dove abitava una ragazza che frequentavo al tempo. Terrorizzo le coinquiline, mi butto a terra dicendo di essere stato appena accoltellato. Non mi fecero salire e dissero che avrebbero chiamato la Polizia, La ragazza non mi volle più vedere nemmeno in foto.



Arrivo al Baraguà, un locale dove si ballava sui tavoli. Entro in condizioni da incubo, sembravo una suora dopo l'arrivo delle brigate internazionali. Incontrai dei colleghi di uni versità, poi fu il buio assoluto. La luce riappare, e mi ritrovo seminudo ritornare verso casa. Il giorno successivo Beta passa a trovarmi, lui aveva tutta la faccia graffiata, la ragazza lo aveva mollato.

"Mi dispiace" gli dico dal letto.

"Lascia stare, ho un mio progetto... Adesso dobbiamo restituire i vestiti, aio', altrimenti scatta la penale."


"Scatta la penale?" Pensai ridendo, vedendo il vestito di Beta. Io consegnai il vestito senza maniche, e senza quella sorta di lenzuolino che si mettono le suore sulla testa. La tizia del negozio comincia a urlare, io non riesco a trattenere le risate, perché penso al vestito di Beta. Questo era sporco di vino, senza maniche, e sulla schiena aveva uno squarcio che partiva dal collo per arrivare sino alle gambe. La tizia va su tutte le furie. "Vergognatevi, siete le UNICHE due ad essere tornate in queste condizioni." Stava parlando al femminile, era talmente scioccata che, nella sua mente ottenebrata, eravamo diventate davvero due suore. Ci cacciò dal negozio, avevamo talmente esagerato che non volle nemmeno dei soldi. Sulle braccia avevo numeri di telefono, parolacce e figure oscene. Corsi a prendere il libretto universitario e andai all'esame. Dopo averlo sostenuto (era scritto), svenni in un’aiuola di viale Fra Ignazio.

 

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lunedì 31 gennaio 2022

Vietnam: l'offensiva del Tet. Di Vincenzo Maria D'Ascanio.


 

(31 Gennaio 1968) Vietnam. Durante la notte, 80mila vietcong fanno irruzione in oltre cento città sudvietnamite tra cui Saigon: cadono Hue, Dalat, Kon Tum, Can Tho e Quang Trei. Nella capitale del Vietnam del Sud, l'ambasciata degli Stati Uniti, considerata inattaccabile, viene occupata nello stretto giro di sei ore.

 

L'offensiva del Tet (nonostante sia stata arginata delle forze americane) solleva per la prima volta negli Stati Uniti, a livello di massa, interrogativi sull’opportunità dell'intervento in Vietnam. Nel corso dell’offensiva, il generale Nguyen Ngoc Loan, giustizia a Saigon un guerrigliero vietcong catturato e la foto diventa famosa in tutto il mondo.

 

Il caso Vietnam inizia quando gli stessi vietnamiti chiedono agli Stati Uniti l’appoggio per liberarsi definitivamente dalla colonizzazione francese. Tuttavia, i vietnamiti non sanno che in questo modo stanno cadendo dalla padella alla brace. Per gli Stati, infatti, il Vietnam ha un’importanza strategica fondamentale, per contrastare l’espansionismo comunista sovietico e cinese. J. F. Kennedy, già negli anni ’50, considerava il Vietnam come la chiave di volta per il controllo del sud est asiatico.

 

Nel febbraio 1965 il territorio del Vietnam del Nord (Il Vietnam era stato diviso in due: il Nord, comunista, il Sud, legato agli Stati Uniti) diventò il bersaglio di bombardamenti da parte di aerei statunitensi.

La strategia statunitense prevedeva di aiutare il Vietnam del sud in nome della democrazia, e per fare questo gli USA s’insinuarono nei rapporti tra il Nord e il Sud, alimentando le divergenze e i contrasti tra le due parti del paese sino ad arrivare alla rottura dei rapporti diplomatici e alimentando una guerra fratricida.

 

Successivamente gli Stati Uniti misero in campo tutto il loro moderno e sofisticato apparato bellico: armi e mezzi di trasporto, gas tossici, defolianti e il micidiale napalm, una gelatina incendiaria altamente nociva che a contatto con la pelle provoca gravi lacerazioni e piaghe. I risultati furono devastanti: vennero distrutti non solo obiettivi militari, ma anche servizi ed edifici pubblici, abitazioni civili e intere zone rurali; la popolazione colpita dalle sostanze tossiche sganciate dagli aerei contraeva gravi malattie all’apparato digerente e respiratorio, il riso – la principale risorsa economica del paese – ingialliva.

 

I vietcong, invece, pur ricevendo dall’Unione Sovietica e dalla Cina armi, equipaggiamenti e viveri, non avevano pari risorse e attrezzature belliche, ma combattevano con gli strumenti e le strategie tradizionali della guerriglia. Disseminavano nel folto della vegetazione della foresta o nei guadi dei fiumi fili d’inciampo collegati a granate, trappole e tagliole, buche riempite con spuntoni avvelenati. Anche se rudimentali, si trattava di armi terribili: non solo potevano infliggere danni fisici, ma erano letali anche sul piano psicologico, perché costringevano i soldati americani a uno stato di continua allerta e a un sistema di combattimento cui non erano addestrati.

 

Fondamentali per le azioni di guerriglia furono le gallerie sotterranee, organizzate in un sistema intricato di cunicoli; gli accessi nascosti, a volte anche subacquei, consentivano ai vietcong di condurre gli agguati contro i nemici contando sull’effetto sorpresa e di scomparire poi nel nulla. I soldati degli Stati Uniti erano quindi quotidianamente esposti a una guerriglia che si avvaleva di metodi di combattimento ben diversi da quelli tradizionali, a condizioni per loro insostenibili e con l’incubo di un nemico, chiamato in codice «Charlie», che poteva colpire ovunque e in qualunque modo.

 

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domenica 30 gennaio 2022

Serafina Battaglia: la donna che si ribellò alla mafia


 " Mi hanno tolto mio figlio. Finché mi avevano tolto mio marito, non avevo detto niente, ma mio figlio è sangue mio, e io devo reagire." (Serafina Battaglia)

 

(30 Gennaio1962) Palermo. Serafina Battaglia è la prima donna ad infrangere il muro dell’omertà’ mafiosa. E lo fa per vendicare l’assassinio del figlio Salvatore. In tribunale rivela tutto quello che sa, indicando i nomi di assassini, mandanti ed esecutori. Da quel momento diventa testimone implacabile in molti processi.

 

Serafina testimoniò per amore materno, e raccontò la dinamica dell’omicidio anche del marito, Stefano Leale, per il quale erano imputati Salvatore Maggio, Francesco Miceli e Paolo Barbaccia. Uno dei tanti episodi della guerra fra clan che presto avrebbe insanguinato le strade di Palermo. Aveva meditato proprio con il figlio di 21 anni la vendetta, ma l’attentato era fallito e la vendetta giunse presto: Salvatore “Totuccio” venne assassinato come suo padre, nel 1962. La morte del figlio è ciò che fa scattare un violento cambio di ruolo: Serafina, donna cresciuta all’interno della mafia e abituata a conviverci, decide di dare il suo contributo alla giustizia.

 

L’ordine per l’esecuzione del marito – a Godrano, piccolo paese siciliano – era arrivato dalla famiglia Rimi, quegli stessi mafiosi che trascorrevano i pomeriggi nella sua bottega di caffè, a discutere la spartizione del potere in quella zona dell’isola. Il sociologo Pino Arlacchi scrisse che Vincenzo Rimi era “considerato come il leader morale di tutta Cosa Nostra siciliana degli anni Cinquanta e Sessanta”

 

La Battaglia disse di portare sempre con sé la pistola: «La tengo per difendermi anche se ora la mia arma è la giustizia». Tuttavia fu una sostenitrice della giustizia pubblica e dell'importanza della testimonianza: «Mio marito era un mafioso e nel suo negozio si radunavano spesso i mafiosi di Alcamo e di Baucina. Parlavano, discutevano, perciò li conosco uno ad uno. So quello che valgono, quanto pesano, che cosa hanno fatto. Mio marito poi mi confidava tutto e perciò io so tutto. Se le donne dei morti ammazzati si decidessero a parlare così come faccio io, non per odio o per vendetta ma per sete di giustizia, la mafia in Sicilia non esisterebbe più da un pezzo.» Nella sua battaglia, venne appoggiata solo dal giornalista de Il Giornale di Sicilia Mario Francese, assassinato nel gennaio del 1979, e dal giudice Cesare Terranova, anch’egli ucciso dalla mafia il settembre dello stesso anno.

 

Serafina fu una madre che, per amore del proprio figlio, cominciò una difficile battaglia anche per il tempo in cui fu combattuta. Sfidò le regole di una società omertosa, ruppe gli schemi predefiniti sul ruolo della donna nella società del profondo sud. Fu quindi la prima a schierarsi contro lo strapotere della mafia, la sua ragnatela, le sue coperture.

 

Tuttavia Serafina non ebbe mai giustizia. Dopo fasi alterne il dibattimento portò il 13 febbraio 1979 all’assoluzione dei Rimi per insufficienza di prove. Nonostante per anni non riuscisse a trovare alcun avvocato disposto a difenderla, poté testimoniare in tutta Italia: parlò di oltre venti omicidi, raccontò l’organizzazione delle cosche locali, descrisse il modo con cui si svolgevano i traffici illeciti fra le famiglie delle quali le aveva parlato il marito. Il processo si svolge a Perugia, la stampa la ribattezza “La vedova della lupara”: le cronache raccontano di lei che mostra in aula un fazzoletto sporcato dal sangue del figlio, degli sputi agli imputati e di quando si inginocchiò davanti ai giudici.

 

Dopo l’assoluzione degli imputati Serafina non uscì più di casa: accusata di essere “pazza” dai parenti, pare dormisse con una pistola P38 per paura di essere ammazzata. Muore il 10 settembre del 2004, a 84 anni, quasi dimenticata nell’appartamento nei pressi del quartiere Olivuzza, a pochi passi dal palazzo di Giustizia di Palermo.

 

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giovedì 27 gennaio 2022

Il sonno della ragione genera incubi. Di Vincenzo Maria D'Ascanio


 Nella mia "home" leggo frasi che non posso condividere, per altro scritte da persone con cui, il più delle volte, trovo corrispondenze in ogni singolo pensiero. Purtroppo queste divergenze accadono su un qualcosa, su cui tutti dovremmo trovarci d'accordo... senza "se" e senza "ma." Ciò accade puntualmente ogni 27 Gennaio, durante la "Giornata della Memoria."

 

Non che non condannino l’olocausto, per carità, ma la loro condanna è accompagnata da un ponte con quanto avviene tra israeliani e palestinesi. In breve, si afferma che oggi gli ebrei (non Israele) sono diventati i nuovi "nazisti," mentre i palestinesi sono i nuovi perseguitati, i nuovi deportati, il nuovo capro espiatorio da sacrificare alla bestialità umana.

 

Anch'io credo che la destra israeliana attualmente al governo, stia conducendo un politica che prevarica i sacrosanti diritti del popolo palestinese. Non solo, sono sicuro che proprio questa politica metta in pericolo quel popolo che vorrebbe proteggere coi mezzi più odiosi e infamanti, spesso includendo nelle loro operazioni militari i civili palestinesi che hanno l’unico torto di chiedere terra e acqua.  

 

Tuttavia di questo, oggi, non intendo parlare, altrimenti cadrei nello stesso malinteso, contaminando il "senso" di questo giorno: ovvero ricordare cosa può fare l'uomo quando vengono meno ragione e ogni senso di civiltà, e la nostra ferocia viene liberata senza più argini o freni. Ricordare cosa possiamo fare quando rifiutiamo ogni legge morale, credendo di essere al centro di un ipotetico disegno divino dove, per altro, le divinità di riferimento diventiamo noi stessi, con la possibilità di stabilire arbitrariamente cosa sia giusto e sbagliato, e individuando così le vittime sacrificabili per la buona riuscita del "nostro" progetto universale.

 


Attualmente in Italia assistiamo a un forte rigurgito antisemita. Scritte sulle porte dei nostri connazionali ebrei, profanazione delle loro tombe, aggressioni nelle strade e nelle piazze. In altri Stati europei e non, ricompaiono forme di discriminazione o vera e propria persecuzione, nei confronti di persone che arrivano da altri continenti. Questi sono additati come preventivi responsabili della disoccupazione, della criminalità o addirittura del tentativo di sottrarci il nostro "sacro territorio." Perché nei tempi bui, l'insediamento nelle masse delle paure da parte di arruffapopoli di ogni sorta, trova sempre il suo potente richiamo.

 

Mai come oggi è importante guardare alla giornata della memoria anche per tutti coloro che morirono in quei campi come oppositori politici, oppure perché disabili, omosessuali, zingari, testimoni di Geova. Perché quanto accaduto nei campi di concentramento nazisti, non riguardò solo gli ebrei ma la civiltà intera. I campi di concentramento ci furono per un motivo: l’idea che un popolo sia naturalmente o divinamente superiore agli altri, e partendo da questo presupposto possa compiere qualsiasi bestialità per difendere la sua "purezza." Un presupposto, un principio, un’idea che possiamo trovare in ogni popolo della terra, anche nel nostro, soprattutto in quelle anacronistiche minoranze che cercano in un arcano passato i motivi della loro mitizzazione.

 

Lo ha fatto una parte del popolo tedesco, cercando nella mitizzazione nordica le origini della loro purezza razziale. Lo abbiamo fatto noi italiani, riproponendo vessilli e icone romane per giustificare la nostra volontà di opprimere altri popoli. Lo fanno oggi anche gli ebrei, una parte di ebrei, che trovano nel vecchio testamento le ragioni per giustificare "il popolo eletto."  A questo deve servire la Giornata della Memoria, ovvero a respingere con forza l’idea che un popolo possa essere superiore agli altri, che una civiltà possa essere superiore alle altre, o che la superiorità derivi dalla religione. Perché se noi giustifichiamo la superiorità verso inesistenti "altri," potremmo trovarci a discutere della superiorità di alcuni nei nostri confronti. Per questo ricordiamoci di respingere senza discussioni queste idee, riconoscendo l’esistenza di una sola razza umana, che lotta per il progresso e il benessere di un solo popolo mondiale e di una sola razza, quella umana.


Vincenzo Maria D'Ascanio

 


Quando la giornata promette bene. Di Vincenzo Maria D'Ascanio.

  Stamattina, come accade ogni domenica mattina in cui mi trovo a Cagliari, sono andato alla stazione per la colazione. È una mia vecchia ab...