lunedì 31 gennaio 2022

Vietnam: l'offensiva del Tet. Di Vincenzo Maria D'Ascanio.


 

(31 Gennaio 1968) Vietnam. Durante la notte, 80mila vietcong fanno irruzione in oltre cento città sudvietnamite tra cui Saigon: cadono Hue, Dalat, Kon Tum, Can Tho e Quang Trei. Nella capitale del Vietnam del Sud, l'ambasciata degli Stati Uniti, considerata inattaccabile, viene occupata nello stretto giro di sei ore.

 

L'offensiva del Tet (nonostante sia stata arginata delle forze americane) solleva per la prima volta negli Stati Uniti, a livello di massa, interrogativi sull’opportunità dell'intervento in Vietnam. Nel corso dell’offensiva, il generale Nguyen Ngoc Loan, giustizia a Saigon un guerrigliero vietcong catturato e la foto diventa famosa in tutto il mondo.

 

Il caso Vietnam inizia quando gli stessi vietnamiti chiedono agli Stati Uniti l’appoggio per liberarsi definitivamente dalla colonizzazione francese. Tuttavia, i vietnamiti non sanno che in questo modo stanno cadendo dalla padella alla brace. Per gli Stati, infatti, il Vietnam ha un’importanza strategica fondamentale, per contrastare l’espansionismo comunista sovietico e cinese. J. F. Kennedy, già negli anni ’50, considerava il Vietnam come la chiave di volta per il controllo del sud est asiatico.

 

Nel febbraio 1965 il territorio del Vietnam del Nord (Il Vietnam era stato diviso in due: il Nord, comunista, il Sud, legato agli Stati Uniti) diventò il bersaglio di bombardamenti da parte di aerei statunitensi.

La strategia statunitense prevedeva di aiutare il Vietnam del sud in nome della democrazia, e per fare questo gli USA s’insinuarono nei rapporti tra il Nord e il Sud, alimentando le divergenze e i contrasti tra le due parti del paese sino ad arrivare alla rottura dei rapporti diplomatici e alimentando una guerra fratricida.

 

Successivamente gli Stati Uniti misero in campo tutto il loro moderno e sofisticato apparato bellico: armi e mezzi di trasporto, gas tossici, defolianti e il micidiale napalm, una gelatina incendiaria altamente nociva che a contatto con la pelle provoca gravi lacerazioni e piaghe. I risultati furono devastanti: vennero distrutti non solo obiettivi militari, ma anche servizi ed edifici pubblici, abitazioni civili e intere zone rurali; la popolazione colpita dalle sostanze tossiche sganciate dagli aerei contraeva gravi malattie all’apparato digerente e respiratorio, il riso – la principale risorsa economica del paese – ingialliva.

 

I vietcong, invece, pur ricevendo dall’Unione Sovietica e dalla Cina armi, equipaggiamenti e viveri, non avevano pari risorse e attrezzature belliche, ma combattevano con gli strumenti e le strategie tradizionali della guerriglia. Disseminavano nel folto della vegetazione della foresta o nei guadi dei fiumi fili d’inciampo collegati a granate, trappole e tagliole, buche riempite con spuntoni avvelenati. Anche se rudimentali, si trattava di armi terribili: non solo potevano infliggere danni fisici, ma erano letali anche sul piano psicologico, perché costringevano i soldati americani a uno stato di continua allerta e a un sistema di combattimento cui non erano addestrati.

 

Fondamentali per le azioni di guerriglia furono le gallerie sotterranee, organizzate in un sistema intricato di cunicoli; gli accessi nascosti, a volte anche subacquei, consentivano ai vietcong di condurre gli agguati contro i nemici contando sull’effetto sorpresa e di scomparire poi nel nulla. I soldati degli Stati Uniti erano quindi quotidianamente esposti a una guerriglia che si avvaleva di metodi di combattimento ben diversi da quelli tradizionali, a condizioni per loro insostenibili e con l’incubo di un nemico, chiamato in codice «Charlie», che poteva colpire ovunque e in qualunque modo.

 

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