(31 Gennaio 1968) Vietnam. Durante la notte, 80mila vietcong fanno
irruzione in oltre cento città sudvietnamite tra cui Saigon: cadono Hue, Dalat,
Kon Tum, Can Tho e Quang Trei. Nella capitale del Vietnam del Sud, l'ambasciata
degli Stati Uniti, considerata inattaccabile, viene occupata nello stretto giro
di sei ore.
L'offensiva del Tet (nonostante sia stata arginata delle forze
americane) solleva per la prima volta negli Stati Uniti, a livello di massa,
interrogativi sull’opportunità dell'intervento in Vietnam. Nel corso
dell’offensiva, il generale Nguyen Ngoc Loan, giustizia a Saigon un
guerrigliero vietcong catturato e la foto diventa famosa in tutto il mondo.
Il caso Vietnam inizia quando gli stessi vietnamiti chiedono agli
Stati Uniti l’appoggio per liberarsi definitivamente dalla colonizzazione
francese. Tuttavia, i vietnamiti non sanno che in questo modo stanno cadendo
dalla padella alla brace. Per gli Stati, infatti, il Vietnam ha un’importanza
strategica fondamentale, per contrastare l’espansionismo comunista sovietico e
cinese. J. F. Kennedy, già negli anni ’50, considerava il Vietnam come la
chiave di volta per il controllo del sud est asiatico.
Nel febbraio 1965 il territorio del Vietnam del Nord (Il Vietnam
era stato diviso in due: il Nord, comunista, il Sud, legato agli Stati Uniti)
diventò il bersaglio di bombardamenti da parte di aerei statunitensi.
La strategia statunitense prevedeva di aiutare il Vietnam del sud
in nome della democrazia, e per fare questo gli USA s’insinuarono nei rapporti
tra il Nord e il Sud, alimentando le divergenze e i contrasti tra le due parti
del paese sino ad arrivare alla rottura dei rapporti diplomatici e alimentando
una guerra fratricida.
Successivamente gli Stati Uniti misero in campo tutto il loro
moderno e sofisticato apparato bellico: armi e mezzi di trasporto, gas tossici,
defolianti e il micidiale napalm, una gelatina incendiaria altamente nociva che
a contatto con la pelle provoca gravi lacerazioni e piaghe. I risultati furono
devastanti: vennero distrutti non solo obiettivi militari, ma anche servizi ed
edifici pubblici, abitazioni civili e intere zone rurali; la popolazione
colpita dalle sostanze tossiche sganciate dagli aerei contraeva gravi malattie
all’apparato digerente e respiratorio, il riso – la principale risorsa
economica del paese – ingialliva.
I vietcong, invece, pur ricevendo dall’Unione Sovietica e dalla
Cina armi, equipaggiamenti e viveri, non avevano pari risorse e attrezzature
belliche, ma combattevano con gli strumenti e le strategie tradizionali della
guerriglia. Disseminavano nel folto della vegetazione della foresta o nei guadi
dei fiumi fili d’inciampo collegati a granate, trappole e tagliole, buche
riempite con spuntoni avvelenati. Anche se rudimentali, si trattava di armi
terribili: non solo potevano infliggere danni fisici, ma erano letali anche sul
piano psicologico, perché costringevano i soldati americani a uno stato di
continua allerta e a un sistema di combattimento cui non erano addestrati.
Fondamentali per le azioni di guerriglia furono le gallerie
sotterranee, organizzate in un sistema intricato di cunicoli; gli accessi
nascosti, a volte anche subacquei, consentivano ai vietcong di condurre gli
agguati contro i nemici contando sull’effetto sorpresa e di scomparire poi nel
nulla. I soldati degli Stati Uniti erano quindi quotidianamente esposti a una
guerriglia che si avvaleva di metodi di combattimento ben diversi da quelli
tradizionali, a condizioni per loro insostenibili e con l’incubo di un nemico,
chiamato in codice «Charlie», che poteva colpire ovunque e in qualunque modo.
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