A volere la sua morte però non è stata la mafia. La
mafia ha sparato, ma l’omicidio di Accursio Miraglia è gemellato con la strage
di Portella della Ginestra. Molti documenti riportano il fatto che, da parte
dell’America, ci fu il tentativo di silenziare la strategia comunista. Il tutto
nacque con il patto di Yalta e la divisione del mondo in Oriente e Occidente,
da un lato la Russia e dall’altro l’America.
L’Italia, terra degli americani, stava di fronte a
Grecia e Albania, ad un passo dal blocco orientale. Il confine era l’Adriatico
e il luogo ideale per piazzare gli armamenti americani era proprio la Sicilia,
che al tempo però era comunista e quindi rappresentava un pericolo. Il problema
andava risolto e la mafia, durante quegli anni, è stata manovalanza utile per
controllare il territorio, infatti finita la guerra tutti i capimafia divennero
sindaci dei rispettivi paesi.
In questo quadro deve essere inserita l’azione di
uomini come Accursio Miraglia sostenitore del Comitato di Liberazione di
Sciacca assieme a un grande uomo saccense, il futuro senatore della Repubblica
Pippo Molinari, creando con lui i comitati d'intesa democratica. È in questo
periodo che Miraglia cominciava a diventare parte attiva della vita politica
sia provinciale che locale, partecipando alla costruzione del Partito Comunista
Italiano.
Egli riuscì a creare e a dirigere la prima Camera
del Lavoro siciliana, nata appunto a Sciacca. Organizzata affinché potesse
sostenere lo spirito comunitario e i diritti dei lavoratori, la Camera del
Lavoro saccense fu un esempio, così come lo era stato il Comitato Antifascista
di Sambuca di Sicilia, per i nascenti sindacati e sindacalisti che purtroppo
avranno un futuro pieno di lacrime e ingiustizie. Uomini come Miraglia e
Domenico Cuffaro (presidente del Comitato Antifascista di Sambuca e futuro
dirigente della Camera del Lavoro saccense) crearono i presupposti del
risveglio del popolo siciliano, e le loro lotte ebbero eco in tutta l’isola e oltre.
Non approfittò mai della sua posizione, il suo
ultimo incarico fu quello di presidente dell'ospedale di Sciacca e anche lì
seppe agire in maniera onesta, diventando un esempio di diligenza e integrità.
I medici, le suore e gli infermieri, la sera del suo assassinio, ricambiarono
l'affetto permettendo alle sue spoglie di rimanere intatte per quattro giorni.
Le veglie funebri furono due, una organizzata presso l'ospedale, l'altra presso
la sede della Camera del lavoro.
Alla base del monumento dedicatogli dal popolo di
Sciacca, ideato dal noto pittore e scultore Filippo Prestia, vi è una frase
dello stesso Miraglia, che richiama il valore della fratellanza, che nella
società odierna tanti, troppi non considerano più realizzabile in una società
dominata dal materialismo e dall'individualismo. La frase, riportata in un
lavoro del nipote di Miraglia, dice: «Io non impreco e non chiedo alcuna
punizione. Io che ho tanto amato la vita, chiedo ad essa di vedere pentiti
coloro che ci hanno fatto del male».
Ecco anche il suo ultimo importante monito che
diede all'ultimo comizio che tenne a Sciacca:
«La forza dell'uomo civile è la legge, la forza del
bruto e del mafioso è la violenza fisica e morale. Noi, malgrado quello che si
sente dire di alcuni magistrati, abbiamo ancora fiducia nella sola legge degli
uomini civili, che alla fine trionfa nello spirito dell'uomo che è capace di
sentirne il “Bene”. Temiamo invece la violenza, perché offende la nostra
maniera di vedere e concepire le cose. Lungi dalla perfezione e
dall'infallibilità, siamo però in buona fede, e non cerchiamo altro che la
possibilità di ripresa della nostra gente e in altre parole di dare il nostro
piccolo contributo all'emancipazione e alla dignità dell'uomo. È solo questo il
filo conduttore che ci ispira e ci porta nel rischio. Non è colpa nostra se
qualcuno non lo arriva a capire: non arrivi a capire, cioè, che ci sia, ogni
tanto, qualcuno disposto anche a morire per gli altri, per la verità per la
giustizia. Attento però a questo qualcuno che da sprovveduto e morto non
diventi un simbolo molto ma molto più grande e pericoloso.»
Queste sono le parole che il figlio di Accursio
Miraglia ha rilasciato in una recente intervista concessa a “La Repubblica”
“Purtroppo, per cinquant’anni, ho visto passeggiare
l’assassino di mio padre in giro per Sciacca. La nostra è un’Italia dove la
verità non viene mai resa nota e quindi io sono sempre in prima fila per
raccontarla e per raccontare Accursio Miraglia, la sua storia, i suoi sogni e
la sua lotta. Ho una grande responsabilità, ma che porto con molto orgoglio. Mi
faccio testimone della storia di mio padre, di un uomo che ha dedicato la sua
vita agli altri.
Sapeva che lo avrebbero ammazzato. Quando mia madre
gli diceva “Ma Accursio tu hai tre figli” lui le rispondeva “Sì, hai ragione,
ma oltre a tre figli ho tutti i poveri della Sicilia, devo pensare anche loro”
e al suo “Sì ma ti uccideranno”, Accursio rispondeva “Sì, uccideranno me, ma
non la mia storia”. Infatti, tutt’ora esiste la cooperativa Madre Terra, una
scuola porta il suo nome, così come molte strade e tanti sono i modi in cui
viene ricordato. Nella zona alta di Sciacca, dove vivono i vecchi contadini,
alla domanda “chi era Accursio Miraglia?” loro rispondono piangendo. In loro e
in tutta la città, infatti, il ricordo di mio padre è ancora indelebile, perché
come Miraglia oggi è ancora un simbolo.
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