mercoledì 5 gennaio 2022

L'assassinio del sindacalista Accursio Miraglia. Vincenzo Maria D'Ascanio


 (04 Gennaio 1947) 74 anni fa il segretario della Camera del lavoro di Sciacca, Accursio Miraglia, viene assassinato dalla mafia poco distante dalla porta della sua abitazione. Il sindacalista entra nel mirino del braccio armato dei grandi latifondisti perché lottava affinché fossero assegnate ai contadini poveri le terre incolte, e suddividere così le grandi proprietà terriere.

 

A volere la sua morte però non è stata la mafia. La mafia ha sparato, ma l’omicidio di Accursio Miraglia è gemellato con la strage di Portella della Ginestra. Molti documenti riportano il fatto che, da parte dell’America, ci fu il tentativo di silenziare la strategia comunista. Il tutto nacque con il patto di Yalta e la divisione del mondo in Oriente e Occidente, da un lato la Russia e dall’altro l’America.

 

L’Italia, terra degli americani, stava di fronte a Grecia e Albania, ad un passo dal blocco orientale. Il confine era l’Adriatico e il luogo ideale per piazzare gli armamenti americani era proprio la Sicilia, che al tempo però era comunista e quindi rappresentava un pericolo. Il problema andava risolto e la mafia, durante quegli anni, è stata manovalanza utile per controllare il territorio, infatti finita la guerra tutti i capimafia divennero sindaci dei rispettivi paesi.

 

In questo quadro deve essere inserita l’azione di uomini come Accursio Miraglia sostenitore del Comitato di Liberazione di Sciacca assieme a un grande uomo saccense, il futuro senatore della Repubblica Pippo Molinari, creando con lui i comitati d'intesa democratica. È in questo periodo che Miraglia cominciava a diventare parte attiva della vita politica sia provinciale che locale, partecipando alla costruzione del Partito Comunista Italiano.

 

Egli riuscì a creare e a dirigere la prima Camera del Lavoro siciliana, nata appunto a Sciacca. Organizzata affinché potesse sostenere lo spirito comunitario e i diritti dei lavoratori, la Camera del Lavoro saccense fu un esempio, così come lo era stato il Comitato Antifascista di Sambuca di Sicilia, per i nascenti sindacati e sindacalisti che purtroppo avranno un futuro pieno di lacrime e ingiustizie. Uomini come Miraglia e Domenico Cuffaro (presidente del Comitato Antifascista di Sambuca e futuro dirigente della Camera del Lavoro saccense) crearono i presupposti del risveglio del popolo siciliano, e le loro lotte ebbero eco in tutta l’isola e oltre.

 

Non approfittò mai della sua posizione, il suo ultimo incarico fu quello di presidente dell'ospedale di Sciacca e anche lì seppe agire in maniera onesta, diventando un esempio di diligenza e integrità. I medici, le suore e gli infermieri, la sera del suo assassinio, ricambiarono l'affetto permettendo alle sue spoglie di rimanere intatte per quattro giorni. Le veglie funebri furono due, una organizzata presso l'ospedale, l'altra presso la sede della Camera del lavoro.

 

Alla base del monumento dedicatogli dal popolo di Sciacca, ideato dal noto pittore e scultore Filippo Prestia, vi è una frase dello stesso Miraglia, che richiama il valore della fratellanza, che nella società odierna tanti, troppi non considerano più realizzabile in una società dominata dal materialismo e dall'individualismo. La frase, riportata in un lavoro del nipote di Miraglia, dice: «Io non impreco e non chiedo alcuna punizione. Io che ho tanto amato la vita, chiedo ad essa di vedere pentiti coloro che ci hanno fatto del male».

 

Ecco anche il suo ultimo importante monito che diede all'ultimo comizio che tenne a Sciacca:

«La forza dell'uomo civile è la legge, la forza del bruto e del mafioso è la violenza fisica e morale. Noi, malgrado quello che si sente dire di alcuni magistrati, abbiamo ancora fiducia nella sola legge degli uomini civili, che alla fine trionfa nello spirito dell'uomo che è capace di sentirne il “Bene”. Temiamo invece la violenza, perché offende la nostra maniera di vedere e concepire le cose. Lungi dalla perfezione e dall'infallibilità, siamo però in buona fede, e non cerchiamo altro che la possibilità di ripresa della nostra gente e in altre parole di dare il nostro piccolo contributo all'emancipazione e alla dignità dell'uomo. È solo questo il filo conduttore che ci ispira e ci porta nel rischio. Non è colpa nostra se qualcuno non lo arriva a capire: non arrivi a capire, cioè, che ci sia, ogni tanto, qualcuno disposto anche a morire per gli altri, per la verità per la giustizia. Attento però a questo qualcuno che da sprovveduto e morto non diventi un simbolo molto ma molto più grande e pericoloso.»

 

 

Queste sono le parole che il figlio di Accursio Miraglia ha rilasciato in una recente intervista concessa a “La Repubblica”

“Purtroppo, per cinquant’anni, ho visto passeggiare l’assassino di mio padre in giro per Sciacca. La nostra è un’Italia dove la verità non viene mai resa nota e quindi io sono sempre in prima fila per raccontarla e per raccontare Accursio Miraglia, la sua storia, i suoi sogni e la sua lotta. Ho una grande responsabilità, ma che porto con molto orgoglio. Mi faccio testimone della storia di mio padre, di un uomo che ha dedicato la sua vita agli altri.

 

Sapeva che lo avrebbero ammazzato. Quando mia madre gli diceva “Ma Accursio tu hai tre figli” lui le rispondeva “Sì, hai ragione, ma oltre a tre figli ho tutti i poveri della Sicilia, devo pensare anche loro” e al suo “Sì ma ti uccideranno”, Accursio rispondeva “Sì, uccideranno me, ma non la mia storia”. Infatti, tutt’ora esiste la cooperativa Madre Terra, una scuola porta il suo nome, così come molte strade e tanti sono i modi in cui viene ricordato. Nella zona alta di Sciacca, dove vivono i vecchi contadini, alla domanda “chi era Accursio Miraglia?” loro rispondono piangendo. In loro e in tutta la città, infatti, il ricordo di mio padre è ancora indelebile, perché come Miraglia oggi è ancora un simbolo.

 

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