Si è forse conclusa la fuga del simbolo dei latitanti sardi, quelli
storici intendo. Graziano Mesina è nato a Orgosolo il 04 Aprile del 1942, diventato
quello che viene definito come “Bandito” alla fine degli anni 50’. In Sardegna
la definizione di bandito si veste spesso di natura romantica, il bandito per
eccellenza è colui che combatte una guerra personale contro uno stato invasore
e predatore, Stato che preleva i giovani “balentes” dalle loro case senza
un’accusa precisa, ma solo per essere sospettati di avere informazioni utili
per arrestare altri balentes.
In quei tempi, si diventata banditi per necessità, perché lo Stato
italiano perseguitava i sardi con una giustizia sommaria. Inoltre il bandito
diventata bandito perché era perseguitato dai notabili del paese, in eterna
combutta con le forze dell’ordine dello Stato italiano. Questa era una
caratteristica del meridione, chi ha letto “Cristo si è fermato a Eboli” di
Carlo Levi può ricordarlo. Mesina divenne bandito per una serie di eventi
giudiziari poco chiari, che alla fine lo portarono a evadere dal carcere di
Nuoro e a darsi alla latitanza.
In seguito le vicende di Mesina potrebbero essere riassunte soltanto in
un libro. Merita di essere citata l’evasione dal carcere di Sassari col suo
futuro braccio destro Atienza (poi ucciso nella maledetta località di
Osposidda) e il tentativo dell’editore Giangiacomo Feltrinelli di coinvolgerlo
nella lotta di liberazione dell’isola, poiché secondo l’editore la stessa
Sardegna poteva trasformarsi nella Cuba del mediterraneo.
Il progetto di Feltrinelli era semplice. L’editore restò a Cuba per
qualche mese, dove entrò a contatto di Fidel Castro (e dove comprò al fotografo
Korda la famosa fotografia del “Che,” quella iconica, la stessa che campeggia
nella Piazza della Rivoluzione a l’Havana). Dopo aver letto e pubblicato il
Manuele della Guerriglia sempre del “Che,” Feltrinelli si convinse che unendo
alcuni fattori la Sardegna si sarebbe potuta facilmente liberare, creando un
avamposto del patto di Varsavia proprio all’interno del Mediterraneo.
Tuttavia per portare a compimento tale progetto occorrevano dei
fattori. La connivenza della popolazione locali (c’era) le armi (c’erano) e i
banditi sardi come capi della guerriglia, con Graziano Mesina a capo della
rivoluzione. Tuttavia Mesina rispose negativamente, per un fattore che
Feltrinelli non aveva considerato.
Pur essendo ammantati di leggenda dalle popolazioni locali, il bandito
sardo era un individualista, e avrebbe compromesso la propria libertà per avere
vantaggi esclusivamente individuali. Di politica ne sapevano poco, e a dirla
tutta non ne volevano nemmeno sapere.
Se andiamo a vedere in Sardegna non abbiamo mai avuto delle grandi
organizzazioni criminali, perché il bandito sardo è per sé e per nessun altro.
Non è disposto nemmeno a creare delle reti criminali, talmente grande è la
propria diffidenza verso il prossimo. A mio avviso possiamo vedere i criminali
sardi come degli oppositori disordinati e casuali allo Stato italiano, che si
fa vedere e sentire soltanto quando si tratta di trovare un deposito per le
scorie, o ci tratta come il classico cesso dove scaricare tutto il pattume che
creano le due ricche regioni (naturalmente in combutta con gli ascari lacché
del regime).
Tuttavia non possiamo considerare i banditi come degli individui che ci
aiuteranno in questa lotta. Ne hanno avuto la possibilità, e l’hanno rifiutata.
Solo quando il popolo sardo capirà che le sue privazioni sono dovute a uno
Stato che l’ha umiliato per secoli, credo che a quel punto cominceremmo a fare
sul serio.
Vincenzo Maria D’Ascanio
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